CITTA DEL MESSICO, 17 febbraio 2009 (IPS) - La recessione economica mondiale minaccia lo sviluppo del commercio equo latinoamericano. I dirigenti della rete di sostegno di questa forma di scambio alternativa cercano con urgenza nuovi contatti per valutare la situazione e definire nuove strategie d’emergenza.
La maggior parte dei rappresentanti delle organizzazioni del commercio equo intervistati stima che l’impatto sarà inevitabile, ma c’è anche chi vede la crisi con ottimismo, come le reti e piattaforme di Argentina e Brasile, che sperano perfino in un miglioramento.
Rubén Ravera, portavoce della Rete argentina del commercio equo, è tra coloro che prevedono uno scenario difficile. È assai probabile che a causa delle ristrettezze economiche, “la convinzione del consumatore del commercio equo risulti compromessa”, ha osservato.
Eduardo Rojo, direttore della associazione civile del Commercio equo in Messico, sottolinea che “si percepisce la disperazione e il senso di emergenza tra tutti i membri” delle reti impegnate nel settore.
Rojo ha avvertito che sebbene “l’impatto dei prezzi dei prodotti ancora non si avverta, i negoziati per la loro collocazione sul mercato sono sempre più difficili”.
Il commercio equo utilizza i canali di mercato alternativi creati a partire dagli anni ’80 tra i consumatori, per la maggior parte dei paesi del Nord industriale, e i piccoli produttori agricoli e gli artigiani delle nazioni del Sud in via di sviluppo, sottraendosi al controllo delle multinazionali e fissando nuove regole per la produzione e il lavoro.
Si stima che i produttori dediti a questa attività siano circa 1,4 milioni.
Gli acquirenti pagano prezzi più alti, in cambio di un’attività certificata da diversi meccanismi, che rispetta l’ambiente, punta ad una organizzazione sociale più equa e produce beni di qualità, per la maggior parte biologici.
Le vendite globali del commercio equo hanno sfiorato nel 2007 i 2,9 miliardi di dollari, il doppio rispetto al 2005, secondo i dati di Fair Trade Labelling Organizations International (FLO), con sede in Germania.
Anche se mancano i dati definitivi per il 2008, Gabriela Frers, direttrice per l’America Latina dell’Organizzazione mondiale del Commercio equo, ha segnalato che lo scorso anno alcune reti che vendono in Europa, Stati Uniti e Canada hanno già registrato un calo del cinque per cento.
“La crisi finanziaria cominciata negli Stati Uniti sta generando recessione anche in altri paesi del Nord, che sono i principali consumatori del commercio equo, e questo si ripercuoterà senz’altro sulle vendite”, ha detto Frers dai suoi uffici in Paraguay.
Zucchero, cacao, caffè, banane, fiori, frutta, miele e tè sono alcuni dei principali prodotti venduti sul mercato del commercio equo.
Secondo Frers, il 64 per cento delle vendite latinoamericane va all’estero, in particolare negli Stati Uniti, Canada, Spagna, Francia, Italia e Gran Bretagna.
Le organizzazioni che lavorano sui mercati alternativi, motivate della crisi, hanno aperto un dialogo per definire nuove strategie, ha spiegato il messicano Rojo.
Mancano stime precise sul numero dei produttori latinoamericani che partecipano al commercio equo, ma solo in Messico, tra i paesi più dinamici nel settore, si calcola che coinvolga 50mila famiglie contadine. Tra l’80 e il 90 per cento delle vendite messicane, in particolare il caffè biologico, sono dirette ai mercati del Nord ricco.
Ma non sempre questo settore dipende dalle esportazioni. In Brasile e Argentina, ad esempio, sono le vendite sul mercato interno che hanno permesso alle reti di sostenersi.
In Brasile, “l’economia solidale, vicina al commercio equo, rappresenta 3 miliardi di real (circa 1,304 miliardi di dollari), intorno all’1,5 per cento del prodotto interno lordo, e 22mila attività”, ha segnalato Rosemary Gomes, presidente di Faces do Brasil, una rete di gruppi che lavorano nel campo.
“L’economia solidale e la sua rete commerciale sul mercato interno non risentono ancora degli effetti della crisi, mentre le esportazioni sì”, ha precisato.
Tra le strategie già promosse vi è il commercio equo Sud-Sud, soprattutto alimentare e fedele al principio della sovranità alimentare, per esempio tra paesi latinoamericani, ha spiegato Gomes.
La FLO stimola la diversificazione degli scambi in America del Sud e con il Messico, oltre a promuovere altre istanze nazionali per riuscire a competere con i supermercati: una strategia che nella crisi andrà rafforzata. Anche i produttori esportatori si sentono più tutelati con il commercio equo, per i “vantaggi nei prezzi e il pagamento già stabilito prima di iniziare la produzione”. Per di più, beneficiano di alcune politiche pubbliche, come gli incentivi all’agricoltura familiare, e per questo la crisi non incoraggia l’abbandono del progetto, ha sostenuto.
Nelle crisi passate, tra i produttori di caffè biologico “è sopravvissuto solo chi era nel settore del commercio equo, che ha mantenuto gli stessi prezzi”, ha osservato.
In tutto questo, saranno i “diritti sociali” ad essere più colpiti, per la precarizzazione del lavoro e le condizioni di vita dei produttori”, ha commentato Gomes.
Edson Marinho, responsabile commerciale di Ética Comercio Solidario, un’impresa brasiliana formata da diversi gruppi non governativi e movimenti sociali, ha dichiarato che le vendite in Europa di frutta fresca, in particolare del mango, hanno subito una contrazione nel 2008, anche se attribuita ad un eccesso di offerta.
Chi invece non ha problemi è Marcelo Paranhos, direttore della Associazione Mango del Brasile, cui aderiscono 80 produttori con 500 ettari di terra coltivata.
Nel 2008, il suo raccolto di mango ha raggiunto le 3.500 tonnellate; ne è stato esportato il 40 per cento, di cui un terzo attraverso le reti del commercio equo.
”Quest’anno prevediamo buoni risultati… Speriamo di duplicare le esportazioni” del commercio equo, ha dichiarato Paranhos.
A suo parere, la recessione è un’opportunità di valore aggiunto, per cercare nuovi mercati interni ed esterni, vendere prodotti confezionati ed abbattere i costi. Tutto questo “è possibile proprio grazie al commercio equo”, ha aggiunto.
La pensa allo stesso modo anche María Minuet, presidente della Associazione donne microimprenditrici dell’Argentina, incentrata sulla produzione di fibre naturali e creme cosmetiche elaborate a base di piante autoctone.
”Non vediamo alcun rischio. Abbiamo produttori competitivi, contatti fuori dal paese, e non puntiamo ad una produzione su larga scala”, ha spiegato.
Secondo Sebastián Homts, dell’organizzazione Arte y Esperanza de Argentina, il commercio equo nel suo paese è un elemento nuovo e poco conosciuto. Il gruppo non esporta, ma ha tre punti vendita a Buenos Aires, dove si distribuiscono prodotti elaborati da 500 famiglie indigene di otto etnie diverse.
Homts ha affermato che attraverso iniziative in grado di diffondere i benefici del commercio equo, il settore si manterrà relativamente integro nel mezzo della tempesta.
Ma le voci ottimistiche non attenuano l’allarme. ”La crisi mondiale si ripercuote anche sulle nostre reti. Il calo delle esportazioni in America Latina è già una realtà, e interessa anche i prodotti del commercio equo”, ha fatto notare Frers, il cui gruppo ha venduto prodotti per circa 44 milioni di dollari nel 2007.
Per affrontare il nubifragio, Frers e Rojo cercano di dare impulso ai mercati locali, e di stringere nuove relazioni tra le organizzazioni coinvolte nel settore.
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